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Intervista – Vatican Insider

1. Non è una novità il fatto che, alla caduta delle barriere imposte dal comunismo, il panorama che si presentava a chi per la prima volta dopo molti anni di chiusura metteva piede in Albania era quello di un disastro totale, sia in termini umani che dal punto di vista religioso. Non che le due cose si possano separare. La dignità di questa gente era stata visibilmente calpestata, al punto che era scomparsa anche la fiducia nei rapporti umani, sin all’interno degli stessi nuclei familiari. E questo la dice lunga. Per non parlare poi del degrado ambientale e della miseria in cui versava la totalità della popolazione, fatta eccezione ovviamente per coloro che, fino a quel momento, avevano costituito la “classe dirigente” del regime.
Abbiamo trovato chiese distrutte o trasformate in sala giochi, sala di cultura o palazzetto della sport come la cattedrale di Scutari. Abbiamo trovato anche circa 30 Sacerdoti, tra diocesani, francescani e gesuiti, sopravvissuti al comunismo, molti dei quali hanno subito carcere, torture di vario genere ed anche alcune Suore, sopravvissute al regime.
A quasi un quarto di secolo di distanza, possiamo dire che di strada ne è stata fatta, anzitutto grazie alla volontà di riscatto di questo popolo orgoglioso e sempre sottomesso, ma grazie anche ai tanti aiuti che, soprattutto nei primi anni, sono giunti da più parti: aiuti umanitari e aiuti concreti di persone che si sono coinvolte direttamente, mettendosi accanto agli albanesi per aiutarli nella ripresa, sociale, culturale, religiosa e morale. E tra questi c’eravamo anche tanti di noi missionari, Religiosi e Religiose invitati dall’allora Nunzio Apostolico, il Card Ivan Dias.
Certamente, non sono mancati momenti critici, ma questi sicuramente hanno contribuito a motivare ancora di più la ripresa. Oggi la strada da compiere appare ancora molto lunga: rimangono diverse piaghe da combattere, prima fra tutte quella dell’emigrazione e della fuga delle migliori energie di questo giovane Paese. Poi ancora la produzione e lo spaccio di droga, la corruzione; fino a problemi più di natura politica che riguardano lo sviluppo sociale ed economico del Paese in un periodo come il nostro di crisi diffusa a livello internazionale.

2. La Causa di Canonizzazione dei “Martiri” albanesi è, possiamo dire, il fiore all’occhiello dell’attività della nostra Chiesa in questi ultimi anni. Prima di rispondere alla sua domanda, mi permetta di motivare questo orgoglio. I “Martiri” di questa terra non costituiscono una gloria di cui vantarsi fine a se stessa: la Chiesa nasce sul sangue dei Martiri, ed una Chiesa senza Martiri non può godere della beatitudine pronunciata da suo Fondatore.
I nostri “Martiri” sono oggi il modello più forte di cui disponiamo per stimolare ancora di più il popolo albanese a non rinnegare le proprie origini, barattandole con gli abbagli di una cultura dominante a livello globale che tende ad affogare le prerogative dei singoli popoli con l’indifferentismo. Essi sono la possibilità di rifondare l’Albania facendo leva sul positivo di una storia, anche se triste, che non può essere annullata, ma che diventa monito per il futuro.
Detto questo, il processo per i nostri “Martiri” comprende tre Cause: due Cause storiche e quella dei “Martiri” del Comunismo. Il Processo Diocesano è iniziato il 10 novenbre  2002 ed è stato chiuso l’8 dicembre 2010, ora è presso la Congregazione delle Cause dei Santi. Se i tempi saranno rispettati, entro l’anno 2014 sarà completata la “Positio” e sarà consegnato il tutto alla Commissione della Congregazione, dalla quale attendiamo il responso che ci permetterà di vederli elevati agli onori degli altari. Speriamo che la Visita Apostolica di Papa Francesco stimoli alla conclusione del Processo.
La figura che qui vorrei riportare –non sembri strano- è l’unica donna che compare nella Lista dei “Martiri”: la Serva di Dio Maria Tuci. Non posso qui descriverne per intero la vita, ma di lei dirò la bella formazione cristiana ricevuta in famiglia a Ndërfushaz, nell’attuale diocesi di Rrëshen, nella Mirdita e il suo smisurato amore per Gesù e la Madonna della quale parlava spesso alle sue coetanee. Dirò del suo desiderio grande di diventare Suora Stimmatina, dopo aver studiato presso le stesse a Scutari sin dall’età di 12 anni e dove fu costretta a vedere infranto il suo desiderio con la chiusura del Convento da parte del Comunismo. Schietta e decisa, molto ardita, battagliera ed emancipata, e altrettanto affabile, facile a fare amicizia e caritatevole, così la descrivono i testimoni, ma anche ben formata culturalmente al punto che lo stesso regime la incarica dell’insegnamento nella sua regione. Fino a quando anche lei venne arrestata senza una motivazione plausibile.
Nel carcere di Scutari fu soggetta alle più orribili torture per aver rifiutato di concedersi ad un colonnello del regime, costretta a vivere sempre bagnata e costantemente soggetta ad iniezioni di chi sa quale tipo che l’avevano gonfiata fino a renderla irriconoscibile e dall’andamento di una persona anziana.
Ricoverata in ospedale, vi morì il 24 ottobre del 1950, libera e con il Rosario fra le dita, i cui resti furono rinvenuti alla riesumazione del suo corpo.
Ricordo lei perché, oltre l’amore per il suo popolo, condiviso con gli altri “Martiri”, si segnala quale nuova Agnese per il perdono ai persecutori e per il desiderio di riconciliazione tra vittime e carnefici in quella vicenda triste ed oscura che fu il comunismo per l’Albania.

3. Nessun segreto caratterizza la convivenza delle fedi in Albania: siamo un solo popolo  e la comune sofferenza di tanti anni di regime e la volontà di non ricadere in forme antiche di repressione e disumanizzazione che hanno visto il popolo albanese “diviso” religiosamente sin dal 1500. In realtà ciò che il comunismo ha lasciato è solo il ricordo di un’appartenenza religiosa che, via via, si è andata ricuperando. Il cammino di formazione religiosa è lungo, ma vi sono esempi bellissimi di riappropriazione della fede e di formazione in essa, sia da parte cristiana che da parte islamica.
Non che tutto sia rose e fiori. Vi sono stati momenti in cui si paventava il pericolo che alcune frange approfittassero di momenti di crisi sociale per trasformarli in guerra di religione. L’unione tra i rappresentanti delle fedi ha scongiurato questo pericolo. Oggi viviamo rapporti di cordialità e di reciproco rispetto, nella valorizzazione di ciò che unisce anziché di ciò che divide. Le feste di ciascuno sono occasione per rinsaldare i rapporti tra le parti.
Indubbiamente il Consiglio Interreligioso potrebbe e dovrebbe fare ancora di più, non tanto dal punto di vista religioso ma sociale, unendo le forze per combattere, come possibile, quelle piaghe di cui dicevo più su.
Mi auguro che il tempo ed anche la prossima venuta in Albania di sua Santità favorisca ancora di più il lavoro già intrapreso da anni; ma anche che il nostro possa diventare un esempio di fraternità e di apertura senza limiti anche per quegli altri popoli che oggi, purtroppo, soffrono la persecuzione religiosa; ricordando che chi uccide in nome della fede in realtà è spinto da uno spirito criminale e terroristico, ma non dallo Spirito di Dio.

                        Mons. Angelo Massafra OFM
                    Arcivescovo Metropolita di Scutari-Pult
                Presidente della Conferenza episcopale Albanese